Si parla sempre più spesso del Native advertising come della nuova tendenza in fatto di pubblicità digitale. Tuttavia, quel che viene venduto come “native advertising” non sempre corrisponde alla corretta definizione del termine.
Con la rivoluzione 2.0, gli inserzionisti hanno imparato a profilare l’utenza attraverso le informazioni immesse in rete, allo scopo di offrire una pubblicità sempre più performante e pertinente agli interessi del potenziale cliente. Eppure, qualcosa in questo rodato meccanismo si è incrinato. La verità è che l’internauta è divenuto un esploratore sempre più esperto, consapevole di dover accettare la pubblicità come vincolo alla fruizione di contenuti gratuiti ma anche capace di eluderla attraverso l’uso di appositi strumenti, quali ad esempio gli ad blocker.
Se la tradizionale pubblicità display ha perso la sua incidenza, qual è il futuro dell’advertising online? La risposta la si trova nel Native Advertising.
Per Native advertising s’intende una forma di pubblicità online caratterizzata dalla mimetizzazione dei contenuti sponsorizzati. In sostanza, è l’applicazione della formula standard “il trucco c’è ma non si vede”. In effetti, il punto di forza del native advertising è proprio la capacità di omogeneizzarsi al contesto entro cui è inserito.
In questo modo, diventa possibile per l’inserzionista raggiungere l’utente senza interromperne bruscamente la navigazione e nel rispetto della sempre più diffusa pratica dei consumi tramite mobile, refrattari al modello dell’interruption marketing.
Il risultato è un cambiamento nella percezione del brand, che risulterà più vicino e meglio integrato nell’universo virtuale del consumatore. La forma di native ads più diffusa è quella dei paid search ads, ovvero i risultati sponsorizzati che compaiono sui motori di ricerca. Essi appaiono identici nella forma e nel design agli altri risultati non sponsorizzati, come impone la definizione di native advertising.
Un’altra tipologia di annuncio native è quella degli In-feed ads. In questo caso, si tratta di un vero e proprio contenuto editoriale inserito all’interno del feed di un sito web, ovvero nella lista dei suoi contenuti. Nel mercato digitale europeo questa forma di Native advertising è meno diffusa che nel mercato d’oltreoceano, ma recenti trend lasciano prevedere un incremento degli investimenti parallelamente alla crescente fruizione e condivisione di contenuti tramite social network. Gli in-feed ads, infatti, hanno il vantaggio di poter essere condivisi su più piattaforme, con larghi margini di guadagno da parte degli inserzionisti. Tuttavia, perché funzionino, è necessario che siano contenuti interessanti, ben fatti, e che raccontino di esperienze e problemi reali degli utenti. Attualmente, l’errore più frequente è quello di vendere come native advertising banali comunicati stampa.
Un annuncio Native, perché sia autentico ed efficace, deve evitare il tone of voice forzato, esplicitamente commerciale; quanto più esso riuscirà a proiettarsi nella dimensione della quotidianità, tanto più numerose saranno le views, i like e le condivisioni del contenuto e la campagna di native advertising avrà successo.
Investire nella produzione di contenuti di questo genere permette di superare le resistenze degli utenti verso la pubblicità tradizionale. Nel momento storico in cui ci troviamo ad operare, i consumatori sono più permeabili alle parole e ai consigli di altri utenti piuttosto che a quello che il brand dice di sé stesso; ecco perché l’influencer advertising è considerato una forma di native advertising destinato a crescere nell’immediato futuro.
Secondo la ricerca “Native advertising in Europe to 2020”, condotta da Yahoo e Enders Analysis, entro il 2020 il mercato del native advertising europeo dovrebbe raggiungere il valore di circa 8,8 miliardi di euro. Una statistica destinata a superare le aspettative se si pensa che, sul finire del 2017, il solo mercato del video advertising ha coperto circa il 50% degli investimenti nel settore del social network advertising. Ciò significa che il margine di crescita del native advertising è molto più esteso di quanto si possa immaginare, dal momento che il suo massimo potenziale trova espressione proprio sui social network ed attraverso i contenuti multimediali (i più fruiti dagli utenti connessi tramite mobile).
Per un inserzionista, interessato ad accrescere l’awareness del proprio brand, sapersi adattare alle nuove tendenze in fatto di sponsorizzazioni significa imporsi all’attenzione di un pubblico sempre più alfabetizzato alle logiche digitali e sempre più interessato ai contenuti, perché – per citare Howard Luck Gossage, pubblicitario degli anni ’60- “Il vero nocciolo della questione è che nessuno legge gli annunci pubblicitari. La gente legge quello che le interessa e, a volte, è una pubblicità”.
Fonte immagini: Nielsen.com